«How Fascism works»: per riconoscerlo in ogni sua forma, in ogni parte del mondo

«How Fascism works»: per riconoscerlo in ogni sua forma, in ogni parte del mondo

Francesca Druetti ha letto “How Fascism works. The Politics of Us and Them”, di Jason Stanley, e lo ha recensito per noi (grazie!). Una lettura consigliatissima che parte dalla stessa analisi di fondo che svogliamo in #Antifa, cominciata oramai più di un anno fa: non dobbiamo aspettare il ripresentarsi delle camicie nere, ma dobbiamo denunciare e contrastare i fascismi in qualsiasi forma si ripresentino. E dobbiamo essere bravi, anzi bravissimi, a riconoscerli: spesso le forme sono (sembrano) le più gentili e graziose. 

Il libro di Jason Stanley uscito il 4 di settembre è un manuale di difesa, e come tale andrebbe letto e discusso. È anche un libro estremamente pratico scritto da un filosofo, e rappresenta quindi una combinazione di pensiero e della sua applicazione al reale di straordinaria efficacia. “How Fascism works. The Politics of Us and Them” è costruito per capitoli, ognuno dei quali affronta, analizza e letteralmente smonta uno dei tratti caratterizzanti della politica fascista: dall’avversione per tutto ciò che è intellettuale, all’ossessione per la legge e l’ordine (e il sempre utile “decoro”), alle ansie connesse alla sfera sessuale, dove il controllo e la diseguaglianza di genere alla base del patriarcato vengono difesi in ogni modo.

È anche uno di quei libri in cui è consigliabile non saltare l’introduzione, perché Stanley risponde preventivamente a chi si ostina a minimizzare il problema, non capendo o fingendo di non capire perché attrezzarci contro il fascismo, la sua propaganda, il clima in cui prolifera sia cruciale in questo momento. Facendolo, chiamando le cose con il loro nome, senza battute e senza caricature, possiamo invertire la tendenza che sta rendendo invivibile, tossico e pericoloso ogni nostro orizzonte – il dibattito, la politica, la socialità.

Il lavoro di Stanley inchioda alle ragioni profonde e propagandistiche per cui vengono creati, amplificati e manipolati molti degli argomenti che quotidianamente incontrano tutti coloro che si affacciano con un’opinione (ma anche soltanto con una curiosità) al dibattito, che sia online, sui media tradizionali o al proverbiale bar. La nostalgia per un passato mitico che non è mai esistito; il complottismo, da Soros alla sostituzione etnica; la pretesa che ogni punto di vista, compresi quelli già confutati oltre ogni ragionevole dubbio abbia uguale peso nel dibattito; il rifiuto dell’istruzione e della cultura e, dalla parte opposta, il tentativo di controllarla; l’invocare la libertà d’espressione per esprimere concetti liberticidi; il vittimismo e la ricerca di qualcuno a cui dare la colpa, che di solito finisce per essere chi è ancora più debole; la centralità morbosa dei fatti di cronaca nera a dispetto dei dati reali; il sessismo e l’omotransfobia, nella strenua difesa del patriarcato. L’elenco potrebbe continuare, e deve continuare: segnalare e contrastare i tratti tipicamente fascisti nelle interazioni quotidiane, ancora più se veicolate da gruppi organizzati, istituzioni, media deve essere uno sforzo collettivo e costante.

I lettori italiani di Stanley ritroveranno osservazioni elaborate anche da Umberto Eco in “Il fascismo eterno”, a partire proprio dall’idea di fondo, cioè che anche senza “i treni in orario” (e altre manifestazioni più sinistre e macroscopiche del nostro passato) il fascismo sia riconoscibile, nel suo essere mutevole, in costante collegamento con la matrice eterna a cui attinge, proponendo diverse combinazioni dei suoi tratti distintivi: “L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”.

Precisamente in quest’ottica, il libro di Stanley è anche un catalogo inquietante ma necessario: per ogni caratteristica fascista che Stanley cita, porta come esempi politiche recenti, recentissime. Dalla scena americana, a cui fa copiosamente riferimento, ma rivolgendo lo sguardo anche oltre: dalla strage di Rohingya in Myanmar, alla Polonia che fa la guerra alla libertà di scelta delle donne, all’Ungheria di Viktor Orbán, al referendum (fallito) in Svizzera per l’espulsione degli “immigrati”. Riprendendo il discorso di Eco sull’Ur-Fascismo, Stanley spiega che “le politiche fasciste non portano necessariamente a uno stato esplicitamente fascista, ma ciononostante sono comunque pericolose. (…) Il pericolo viene dal modo in cui disumanizzano parti della popolazione. Escludendo questi gruppi, limitano la capacità degli altri cittadini di provare empatia, portando alla giustificazione del trattamento disumano, dalla limitazione della libertà, detenzione di massa, espulsione, fino, nei casi estremi, allo sterminio di massa”. Ecco perché “il fascismo oggi può non essere esattamente identico a quello degli anni Trenta, ma i rifugiati oggi sono di nuovo in viaggio ovunque. In molti paesi, la loro situazione drammatica rafforza la propaganda fascista che dice che la nazione è sotto assedio, che gli stranieri sono una minaccia e un pericolo sia dentro sia fuori dai confini. La sofferenza degli altri può rinsaldare la struttura del fascismo. Ma può anche attivare l’empatia, una volta che la si guarda attraverso un’altra prospettiva”.

Questa “altra prospettiva” è il secondo tempo della partita o, se vogliamo, il giocatore che fa la differenza. Sta a tutte e tutti noi mobilitarci per dare vita a qualcosa di diverso. Molti lo stanno già facendo, dalla politica, all’attivismo, all’informazione, all’esempio che si può dare con azioni anche semplici. Con i libri, con le manifestazioni, scendendo in strada e dicendo che non se ne può più di “‘sta rottura de cojoni dei fascisti”, come Ivano a Rocca di Papa. Interessandosi anche alle battaglie degli altri, invece di isolarli e isolarci, perché se migliorano le condizioni delle donne, per esempio, migliorano le condizioni di tutti. Ritrovando una visione di lungo periodo, con credibilità e passione, oltre la sfiducia e la paura. Perché è così che il fascismo (non) funziona.